Inside the Injury: ultimi studi su trauma cranico e MMA

Inside the Injury: ultimi studi su trauma cranico e MMA

22 Dicembre 2022 0 Di Ernesto Piane

Nel 2022 sono stati pubblicati molti articoli che trattano di Trauma cranico in sport professionistici, ma uno in particolare è stato preso in considerazione da alcune riviste online che trattano di MMA e combat sports (ad esempio BloodyElbow).

L’articolo scientifico in questione, realizzato dal Neurological Institute di Las Vegas (e consultabile gratuitamente a questo link) è molto interessante e va a confermare numerosi altri studi che negli ultimi 5 anni si stanno concentrando sul cercare di definire una patologia ancora poco “compresa” , ovvero l‘Encefalopatia traumatica cronica (o demenza pugilistica, come era chiamata in passato). Avevo affrontato l’argomento in altri speciali, ma è sempre bene fare di nuovo il punto della situazione.

 

Cosa è?

Si tratta di una temibile patologia neurodegenerativa che colpisce specialmente gli atleti che subiscono numerosi traumi cerebrali (anche lievi) durante la propria carriera. Traumi che creano danni strutturali e funzionali cerebrali, tali da compromettere e modificare, anche permanentemente, alcune delle normali funzioni neuronali.

 

Il risultato è una Sindrome causata dall’atrofia cerebrale precoce e che scatena alterazioni comportamentali, cognitive e di memoria. Un vero e proprio invecchiamento precoce del cervello.

L’obbiettivo dello studio è la ricerca di particolari valori (clinici, strumentali o laboratoristici) per poter definire dei criteri diagnostici più universali possibili. Infatti il primo passo per “curare” o “prevenire” il più possibile una patologia, qualunque essa sia, sta nel fare una diagnosi .

 

Cosa ci dice nello specifico lo studio di Las Vegas?

Sono stati inclusi 176 partecipanti (110 pugili e 66 fighter di MMA) di età media 35 anni. Di questi, il 41% sono stati classificati come affetti dalla sindrome da encefalopatia traumatica. Questo gruppo di atleti erano quelli con più combattimenti alle spalle, che avevano iniziato da più giovani e che avevano ricevuto più KO. Di questo gruppo di atleti oltre l’80% sono pugili, mentre una netta inferiorità sono atleti di MMA.

I criteri diagnostici utilizzati sono un connubio tra segni clinici neurologici ( ad esempio prove mnemoniche , di velocità psicomotoria e di reazione) ma anche valori laboratoristici, come le concentrazioni sanguigne di alcuni valori specifici del danno neuronale (ad esempio la proteina Tau e i neurofilamenti a catene leggere).

Di estremo valore sono stati anche i dati strutturali macroscopici, ottenuti con la Risonanza Magnetica ad alto campo. Sono stati presi i volumi dell’ippocampo e dell’amigdala, della materia grigia subcorticale inclusi talamo, caudato e putamen, poi il corpo calloso, il sistema ventricolare e i volumi totali di materia bianca e grigia.

In particolare è stato visto che il gruppo positivo alla sindrome, oltre che segni evidenti clinici e laboratoristici, aveva anche volumi cerebrali di materia grigia e bianca più piccoli del normale.

 

Il mio parere

Il primo dato sconcertante è la percentuale di positivi a questa patologia. Il 40% è infatti davvero alto e solo questo dovrebbe far aprire gli occhi ai Team più scettici di intensificare i controlli e le interazioni con i medici.

Un punto su cui soffermarci è che, dei positivi, “solo” il 20% è fighter di MMA. Ma attenzione a come si interpretano i dati: Infatti gli atleti di MMA coinvolti nello studio sono un numero inferiore rispetto gli atleti di Boxe. Questo vuol dire che aumentando il campione potrebbe tranquillamente aumentare anche la percentuale di positivi.

Da Neuroradiologo ritengo che questo studio sia molto utile al movimento, specialmente vista la sede di svolgimento e la sua visibilità ( Las Vegas è tra le capitali del fighting internazionale, e questo conta). Tuttavia ulteriori studi devono essere eseguiti, in particolare penso che si debba fare studi specifici per MMA e Boxe separate, poichè sono sport molto diversi e i dati potrebbero essere decisamente fuorvianti.

Oltre questo, sono state usate solo una sequenza di Risonanza magnetica e non tutte le sue effettive potenzialità. Per esempio, per un prossimo studio, sarebbe importante l’uso del Tensore di Diffusione, che senza scendere in noiosi dettagli, permette di ricostruire i fasci neuronali nello specifico e valutarne i danni in modo quasi fantascientifico. (Immagine qua sotto)

Diffusion MRI, also referred to as diffusion tensor imaging or DTI, of the human brain

Si stanno facendo grandi passi avanti, ma si può e si deve fare di più per la salute degli atleti. I team e i medici devono collaborare di più instaurando percorsi e controlli personalizzati come abiti su misura. Non solo per i singoli combattimenti ma tenendo conto degli allenamenti e dello sparring, che a mio parere sono gli elementi più rischiosi della vita di un fighter.

 

A cura di Ernesto Piane